Il pasto degli schiavi è una pietanza nuda
La pièce scava il fossato e fagocita le pulci al sistema zodiacale druido. Un quadrante astrale nel quale il sole transita raramente e la luna poltrisce distesa sull’amaca della villeggiatura. Ma quando il fulcro del sistema gravitazionale torna a sfilare sulla passerella celeste e il satellite terrestre oblitera il cartellino, allora il suddetto quadrante astrale druido prova a farsi solleticare le ganasce liberando la sua primordiale fauna archetipica. L’antiquarica segnaletica appartenente agli elementi terreni, focai, liquidi e ariosi, viene riposta accuratamente nello sgabuzzino dando vita ad un oroscopo differenziato nel quale ogni premonizione appare nebulosa e funesta. Sulla scena si agita disposta come le statue dell’Isola di Pasqua una società post-diluviana di ordine patrilineare fortemente rispettosa dei protocolli antico-testamentari. Alberga tra i pochi individui in circolazione una spiacevole disfunzione comunicativa dovuta probabilmente ad inevitabili catastrofismi nucleari. L’elemento radioattivo deturpa il paesaggio. C’è una cosmogonia da riposizionare nelle apposite caselle. È necessario rinfocolare una specie estintasi. Rimpolpare uno stato d’animo. Ripopolare l’organigramma della biodiversità. Rendere nuovamente coltivabili i terreni, potabile l’acqua, respirabile l’aria. O molto più semplicemente c’è da riempire lo spazio vuoto lasciando ossigeno ad una nuova era libera da lacci, lacciuoli, cavilli e burocratesimi tipici del maschio alpha. Se sarà la DEA generatrice ad adempiere una nuova genesi, allora il possesso dell’individuo sul suo simile non potrà non apparire come una cartolina proveniente dalla riviera del ricordo. Un pessimo ricordo. Il ricordo di un tempo remoto nel quale lo spillo era pretesto per lo scatenarsi del contrasto. Dello scontro. Del ceffone elargito con fare violento. Nel pasto degli schiavi la Dea si assume la responsabilità dell’agrodolce impresa. Lo fa manifestando la sua onniscienza ed assumendo le sembianze di quattro animali. Quattro fiere rattate dalla simbologia del girone dantesco. Una serpe tentatrice, mordente il calcagno del cherubino Gameliele che già ridusse a cencio la famiglia del biblico Adamo. Serpe vagamente somigliante alla machiavellica Diana protagonista della serie televisiva cult anni ’80 Visitors. Una colomba fuoriuscita dalla stiva dell’arca fabbricata dal raccomandatissimo seguace UtnaPishtim. Equivalente sumero del levita Noè. Una gibbona giulebbata erroneamente scambiata per gradino transitante dell’evoluzione umana. Infine una cagna. Rigorosamente sterilizzata. Emblema dell’addomesticamento degli istinti come modellamento delle coscienze. Gli attori su palscenio seviziano lo spazio per poi bilanciarlo geometrizzandolo come se dovessero eseguire collettivamente il katà settimo del karateca stile shotokan. Il maestro indossante una cinta ad elevato dan parla come un illuminato di quelli che farebbero scattare sull’attenti Adam Kadmon. Sarà lui a posizionare il collo sul cippo ambizioso del boia. Un’era di pace sembra profilarsi dopo che la ghigliottina ha liberato Gioacchino Murat dalla cefalea. Le quattro divinità femminili hanno campo libero. Possono ora riscrivere la storia. Ma… l’ingordigia terrà loro un tranello. Trangugieranno cibo industriale mostrando un comportamento baccanale tipico della meschina etichetta di coloro che vogliono conservare un segreto per tenere la gente nell’ignoranza. Diverranno appesantite come capponi allevati col dozzinale sistema del capannone e il loro fegato sarà spalmato su tartina durante gli apericena organizzati dalla cricca nei centri storici cittadini. Non vi saranno posti a tavola da aggiungere in quanto si sono già divorati il divorabile…
Il Pasto degli schiavi… parafrasando il Funari della presa diretta: qui il più pulito ha la rogna…