Giovan Bartolo Botta

Archive for the ‘Cronache Roma Fringe Festival 2015’ Category

Cronache Fringeriane 4 Roma Fringe Festival 2015

In Cronache Roma Fringe Festival 2015 on giugno 6, 2015 at 6:48 PM

Il pasto degli schiavi è una pietanza nuda

La pièce scava il fossato e fagocita le pulci al sistema zodiacale druido. Un quadrante astrale nel quale il sole transita raramente e la luna poltrisce distesa sull’amaca della villeggiatura. Ma quando il fulcro del sistema gravitazionale torna a sfilare sulla passerella celeste e il satellite terrestre oblitera il cartellino, allora il suddetto quadrante astrale druido prova a farsi solleticare le ganasce liberando la sua primordiale fauna archetipica. L’antiquarica segnaletica appartenente agli elementi terreni, focai, liquidi e ariosi, viene riposta accuratamente nello sgabuzzino dando vita ad un oroscopo differenziato nel quale ogni premonizione appare nebulosa e funesta. Sulla scena si agita disposta come le statue dell’Isola di Pasqua una società post-diluviana di ordine patrilineare fortemente rispettosa dei protocolli antico-testamentari. Alberga tra i pochi individui in circolazione una spiacevole disfunzione comunicativa dovuta probabilmente ad inevitabili catastrofismi nucleari. L’elemento radioattivo deturpa il paesaggio. C’è una cosmogonia da riposizionare nelle apposite caselle. È necessario rinfocolare una specie estintasi. Rimpolpare uno stato d’animo. Ripopolare l’organigramma della biodiversità. Rendere nuovamente coltivabili i terreni, potabile l’acqua, respirabile l’aria. O molto più semplicemente c’è da riempire lo spazio vuoto lasciando ossigeno ad una nuova era libera da lacci, lacciuoli, cavilli e burocratesimi tipici del maschio alpha. Se sarà la DEA generatrice ad adempiere una nuova genesi, allora il possesso dell’individuo sul suo simile non potrà non apparire come una cartolina proveniente dalla riviera del ricordo. Un pessimo ricordo. Il ricordo di un tempo remoto nel quale lo spillo era pretesto per lo scatenarsi del contrasto. Dello scontro. Del ceffone elargito con fare violento. Nel pasto degli schiavi la Dea si assume la responsabilità dell’agrodolce impresa. Lo fa manifestando la sua onniscienza ed assumendo le sembianze di quattro animali. Quattro fiere rattate dalla simbologia del girone dantesco. Una serpe tentatrice, mordente il calcagno del cherubino Gameliele che già ridusse a cencio la famiglia del biblico Adamo. Serpe vagamente somigliante alla machiavellica Diana protagonista della serie televisiva cult anni ’80 Visitors. Una colomba fuoriuscita dalla stiva dell’arca fabbricata dal raccomandatissimo seguace UtnaPishtim. Equivalente sumero del levita Noè. Una gibbona giulebbata erroneamente scambiata per gradino transitante dell’evoluzione umana. Infine una cagna. Rigorosamente sterilizzata. Emblema dell’addomesticamento degli istinti come modellamento delle coscienze. Gli attori su palscenio seviziano lo spazio per poi bilanciarlo geometrizzandolo come se dovessero eseguire collettivamente il katà settimo del karateca stile shotokan. Il maestro indossante una cinta ad elevato dan parla come un illuminato di quelli che farebbero scattare sull’attenti Adam Kadmon. Sarà lui a posizionare il collo sul cippo ambizioso del boia. Un’era di pace sembra profilarsi dopo che la ghigliottina ha liberato Gioacchino Murat dalla cefalea. Le quattro divinità femminili hanno campo libero. Possono ora riscrivere la storia. Ma… l’ingordigia terrà loro un tranello. Trangugieranno cibo industriale mostrando un comportamento baccanale tipico della meschina etichetta di coloro che vogliono conservare un segreto per tenere la gente nell’ignoranza. Diverranno appesantite come capponi allevati col dozzinale sistema del capannone e il loro fegato sarà spalmato su tartina durante gli apericena organizzati dalla cricca nei centri storici cittadini. Non vi saranno posti a tavola da aggiungere in quanto si sono già divorati il divorabile…

Il Pasto degli schiavi… parafrasando il Funari della presa diretta: qui il più pulito ha la rogna…

Cronache Fringeriane 3 Roma Fringe Festival 2015

In Cronache Roma Fringe Festival 2015 on giugno 6, 2015 at 3:38 PM

Rosadilicata. La vita o la si vive o la si scrive.

Se l’universo esiste da sempre dimostrando imperituri attributi oltre che un discreto stato di salute psicofisica, allora anche Rosa Balistreri da Licata, cantora fulmicotonica della irrequieta emotività sicula esiste da immemorando. Magari sotto altre forme, mentite spoglie, rispettando legislazioni fisiche appartenenti a differenti composizioni biologiche, dimorando dimensioni disposte su frequenze difficilmente percepibili alla limitatezza del sensare umano. Però esiste da sempre. Facendo scaturire sillogismi aristotelici da riporto. La lotta suona la viola. La viola è desiderio. La Balistreri suona la viola. La Balistreri è desiderio. Ed era già una voce al curaro capace di castigare sinistre gestualità in qualunque punto della linearità spaziotemporale. E se per caso o per un mucchio di buone ragioni in questi differenti abitacoli quantici l’isola di Sicilia non fosse stata prevista dal tachimetro creazionista, magari per cause di forza maggiore geologica, allora se la sarebbe inventata lei per poi scagliarci sopra amorevoli invettive composte da lirismo misturato all’epica. Contornato da gutturale iconoclastia punk. Rosa di Licata scudiscia e fendenza in ambo le direzioni degli arti periferici superiori ridicolizzando stantii emicicli parlamentari nonché muffite tonacature ortodosse. Quasi come se toccasse a lei l’onere e l’onore di riscrivere la storia magari secondo dettami matrilineari e sovversivi. Lei un po’ nemica delle mogli e un po’ giarrettiera, dotata di turbanti a sonagli che scongiurano fastidiosi epiteliomi nascosti all’interno di melliflui palati. Lei scracia sul viso del crumiro con sgarbo procedendo a soggetto e fustigando giganti privati della loro catena montuosa. Lei così unica, inesistente e multiclonata, ansiosa di solleticare l’individuo invitandolo a sollevare toni, ritmi e volumi in attesa della fantomatica rivoluzione utile a traghettare l’elemento umano verso una socialdritta che gioca a fare la bella addormentata nel bosco. Rosa sveste gli ignudi padroni svergognandoli delle loro pudenda bonsai. Lei è così, così è se pare a lei. Non certo a noi. Non si sente personaggio. Bensì persona. Sfanculando il qualsivoglia autore. Debella l’aspetto ludico in quanto le parti sono state scoraggiate, e se uno zamatauro Cecè le sfiora la guancia senza averne il permesso, Rosa lo sgozza come un capretto da immolarsi omaggiando i saturnali del raccolto. Ma quando un uomo dal crisma giusto le viola il profondo riducendola allo spasimo, allora si dona anima e corpo consumandosi quanto i palamenti del mugnaio.

Sul palcoscenico una interprete un po’ Marilia Pera e un po’ Clara Nunes accompagnata dal mastro bocalivresco centenario Edu Lobo Antunes detto scacciapensieri, accordatore lusitano naturalizzato Pachino, ci racconta le vicissitudini di questa frustagna sicula. Ambo i soggetti debellano lo smacco piegando la concatenazione degli eventi al loro volere. Modellano il vasellame con discrezione creando un clima quasi confidenziale, intimo, intimista, a tratti financo intimidatorio. Ma soprattutto ci ricordano che Rosa è stata tutto ciò che Sante Caserio avrebbe voluto essere se non fosse che lei e lei, Caserio era quello che era, e noi non siamo nemmeno Marchesi del Grillo.

Rosadilicata… parafrasando il Salvo Randone bramante vitalizio: voce? No, orecchio…

Cronache Fringeriane 2 Roma Fringe Festival 2015

In Cronache Roma Fringe Festival 2015 on giugno 4, 2015 at 4:16 PM

Antiglobal Odissea: Ulisse alla prova del nove

Un energumeno vagamente somigliante all’interprete subalpino Eugenio Allegri, passato alle cronache aziendali grazie ad una particolare variante sordomuta dell’Arlecchino precedente borghesi riformismi goldoniani, accoglie i possessori del visto dicitando Oscar Wilde in lingua originale. La ballata è quella del carcere di Reding. Quello dove ogni essere umano uccide l’oggetto del proprio desiderio. Il flusso del tappeto verbale fuoriuscente dall’apparato muscolare-buccinale crea un atmosfera magica. Oserei dire misticistica. Tant’è che financo gabbiani e cormorani solitamente sonnolenti sulla riva ortodossa del Tevere, spalancano becchi disponendosi a schiera. L’intero disegno appare come un’istantanea proveniente dall’indecifrabile universo del living theatre. Poi, inaspettatamente, questo Lawrence Olivier in salsa Borgo Pia ripone il manuale cartaceo sul comodino riparando all’interno di una public alcoholic house. Rigorosamente settato al bancone. Bukowskiano moscerino da bar. Parafrasando l’Humphrey Bogart casablanchino: è la prassi, bellezza! O la sete, che dir si voglia. L’interprete britannico degno di tale appello ingolla mancicco sbugiardando metodi recitativi intrisi di truffa e colpa. Si presuppone che la resistenza alla sostanza etilica alberghi dentro una matrice genetica. Lo dice la storia. Lo urla la gente. Lo sottoscrive il chitarrista delle Pietre Rotolanti Mister Keith Richards capace di prosciugare distillerie intere sine colpo ferire per il solo fatto di aver avuto i natali sull’isola di Re Giorgio. Adesso sul medesimo palco un nugolo poetante sciorina versi barocchi facendo impallidire di invidia Bromley Contigent carveriane. Il tema è quello secolare dell’amore angelicato. Iperuranico. Metafisico. Ghibellino. Baci rubati. Amplessi sopiti. Tatto immaginario. Carezze sottratte all’elemento umano. Nel nome della macchina. Spettatori paganti eccessivamente rapiti dalla tematica sentono sollevarsi alla bocca dello stomaco un fastidioso calore. Non è ulcera peptica bensì viscerame lorchiano. C’è chi accenna ad un terzo tentativo suicidatario. Imitando epiche quanto autolesionistiche destrezze alla Sylvia Plath. La massa come un coro eschileo intona ostrogoti mantra autotraghettandosi verso esterni palchi. Stiamo per assistere alla riproposizione delle peregrinazioni odissee di omeriana scarabocchiatura. Il teatro del ricordo. La tecnica dell’evocazione. Spossato dalle fatiche dovute alla decennale guerra di Troia contro i centouno figli illegittimi del Re Priamo, compresi gli adottivi e gli affidatari, l’astuto Ulisse monta sul torpedone destinazione Mykonos. Isola. L’intento è quello dello sprofondìo nel relax assoluto ammiccando alle numerose offerte lascive che la turistica terra ellenica propone. Il rientro ad Itaca, suolo natio dell’eroe Acheo, non appare per il momento tra le priorità. Il viaggio non è Valtur né Alpitour. No Alpitour? Aiaiaiaiai…

Qui cominciano i pandemoni. Di fronte ai bulbi oculari del parode Odisseo si materializzano, ostacolandone la navigazione, i nemici sempiterni. Gli Zefiri dalla fiatella pesante. I Calypso Boys, intesi come gli ex fuoriclasse del Manchester United Cole e York. La tracotante Nausica. Il ciclope Polifemo reso nano da una inopportuna scarica di radiazioni iodizzanti. Sirene che divorano pesce grigliato. Una maga Circe manolesta quanto la Vanna Marchi proiettata sul telecatodico regionale. E via discorrendo. Elencando. A questo punto Ulisse non ci vede più… dalla fame. Vira il timone a babordo impostando le coordinate sulla natia Itaca. Pretende cibi caldi e visi amici. Ma l’inafferrabile fato ha in serbo per lui un destino diverso…

Giunto a destinazione troverà un ovile scarabocchiato. Antinoo, suo fratello sanguigno, vicesindaco della capitale itacense, lo ha abbandonato per intraprendere una allettante carriera politica nazionale come sottosegretario del ministro anti-eurozotico Yanis Varoufakis. Il diplomatico dalla mascolinità alpha. Boccaccesco sottaniere. Il cane Argo, grazioso Rottweiler senza pedigree, un tempo feroce mastino, si è ora trasformato in una massa di pelo unta e cenciosa buona solo a lasciare pedate sul pavimento. Pavimento snobbato dalle divine ancelle fattesi pelandrone grazie alla blindatura protettiva della sigla sindacale. Argo sbafa bocconcini di magro a quattro palamenti. E anziché cacciare gli invadenti Proci a morsi, fa loro le fusa comportandosi come il più mansueto dei micetti da sofà. Sarà l’effetto deleterio della castrazione. Asportazione della sacca scrotale tanto per utilizzare una terminologia veterinaria. La regale Penelope, compagna devota, tesse tutto fuorché la fottuta tela. Ha svenduto i suoi talenti alla multinazionale Benetton. I Proci stessi smargiassano come zamatauri in una balera romagnola. Dulcis in de profundis, Telemaco. La vera nota dolente dell’intero poema. Il primogenito. Forse l’unico genito. Ulisse, si sa, era talmente pigro da aver sposato una donna incinta. Il futuro. Il rampollo dalle belle speranze. Praticamente un debosciato. Un somaro calzato e vestito capace a scuola di farsi rimandare financo in educazione fisica. E pensare che il padre era un asso nella molteplice disciplina sportiva. Fu lui nel 2004 a guidare la formazione calcistica partenonica al successo nella competizione europea. Otto Rehagel non fu che un prestanome. Telemaco non parla. Bercia. La sua massima aspirazione è festeggiare la retrocessione. O in alternativa bivaccare tra il pianto e il lamento. Patron Ulisse osserva la situazione e dopo aver eseguito un paio di calcoli, monta di gran carriera sul glorioso ronzino in legno da lui ideato, spada damoclea per Ettore e compagni, impostando la destinazione su Ipanema Beach. Sola andata.

Antiglobal Odissea… teatro evocativo. Tecnica narrativa omerica. Ispirandoci al ladro gentiluomo scozzese Ronald Biggs, praticamente è stata una estradizione…

Cronache Fringeriane 1 Roma Fringe Festival 2015

In Cronache Roma Fringe Festival 2015 on giugno 4, 2015 at 3:08 PM

Un incipit tra il sogno e il son desto

La quarta edizione della kermesse fringeriana capitolina imbecca la nota elevata presentando prima di subito una importante quanto inaspettata novità: il mutamento della zona castalia. Della locazione. Scaduti i termini del triennale contratto affittuario stipulato in passato tra la verticalità fringeriana e il Rangers canadese Trevor Johnson, responsabile presso il parco della Villa mercedica aureliana (il medesimo guardacaccia del parco di Yellowstone, dove in passato l’orso Yoghi fece razzia del cestino da picnic) le parti si sono date appuntamento negli studi dei rispettivi procuratori con la beneamata intenzione di rinnovare gli accordi. Se da una parte, per i notabili del festival gli interessi vengono curati dallo smemorato avvocato della famiglia Simpson Jason Hosher, dall’altra parte è l’avvocato conservatore Carlo Taormina ad amministrare confinio e liquidità della guardia del Quebec naturalizzata sanlorenzina. Ambedue i soggetti hanno parlato lingue differenti non riuscendo a trovare la quadra. Il cambio della sede a quel punto si è reso più utile che necessario. Sono stati sguinzagliati i segugi e dopo aver sollevato un numero imprecisato di cornette appartenenti ad obsoleti apparecchi telefonici, il nuovo spazio è stato finalmente individuato. Castel Sant’Angelo. Zona secretate stanze. Saranno infatti le torride cellette interne al monumentale Fortino lo scenario capace di ospitare oltre settanta compagnie teatrali provenienti dall’ogni dove. Il cambio della location ha reso necessario intraprendere una revisione gogoliana dei regolamenti. Vista la probabile presenza tra gli anfratti di spaventevole fenomenologia Poltergeist, le compagini ammesse alla gara, dovranno assolutamente essere munite di apposito medium con allegata acqua santa. Quest’ultima gentilmente fornita a gitto fordista dalla vicina Santa Sede a prezzo da donazione dell’organo sintetista enzimico. Le compagnie che riusciranno ad accedere alle fasi finali, eclissando possessioni demonologiche, proveranno l’ebbrezza della messa in scena alla presenza dell’attuale pontefice patagonico Mario Bergoglio. Detto Selfie. Il prelato gesuita infatti, non ha mai celato la sua proverbiale passione per la prosa sin dai tempi in cui era a malapena diacono presso la diocesi Isolana Malvina. La chiesa, è risaputo, ha spesso osteggiato le rappresentazioni eccezion fatta per quelle sacre. In epoca buia i teatranti venivano trattati alla stregua della pezzenza e tacitati dalla tonacatura di essere emissari satanici, nonché fomentatori della lasciva condotta. Pontefice Francesco con il suo atto ha preteso la sepoltura delle puritane colpe sotto la coltre del telefonino. Ma non finisce qui come discetterebbe Corrado alla corrida di Corrado. A guardia degli oltre settanta palcoscenici, vedette mascherate da smartphone perennemente ostili alla prosa, ostacoleranno i lavori delle compagnie indipendenti inneggiando alla dittatura del personal computer. Parafrasando zodiaci cavalieri protagonisti di galattiche battaglie: lacrimevole sarà la vallata.

Una prima gittata d’occhio evidenzia come i palchi si trovino ad una distanza siderale l’uno dall’altro. E se nella zona nord del Campo Elisio sant’angiolesco funzionali risciò trainati da seminaristi vescovili traghetteranno il pubblico pagante tra botteghini e graticce, nella zona est saranno invece portali extradimensionali atti a traslare lo spazio-tempo a far accomodare lo spettatore su gradone o poltrona. Taxisti esentati dalla rappresentanza sindacale, verranno messi a disposizione per venire incontro alle esigenze dei teatranti provvisti di scenografia superiore alla cubatura del Sistina. L’inaugurazione dell’evento ha avuto tre distinti momenti che vale la pena assolutamente riportare. Il primo è avvenuto all’interno del glorioso night club Mokambo. Adiacenza viabilità veneta. L’apice della dolce vita felliniana. Tra le piste di codesta balera lo chansonnier pedemontano Fred Buscaglione prese l’ultima sbronza prima di rendere l’anima a Dio schiantandosi contro un pilastro alla guida della sua Thunderbird rosa salmone. Il secondo ha avuto luogo presso la sala consigliare campidolica ove un sindaco Ignazio Marino in versione anatomo patologo si è prodigato a massoterapizzare le giunture degli attori fringeriani ottenendo risultati sorprendenti capaci di mandare a riposo il qualsivoglia riscaldamento grotowskiana. Il terzo ed ultimo momento è avvenuto dentro gli angusti corridoi del palazzaccio giustizionale, dove le compagini teatrali, a mo’ di sambodromo brasiliano, hanno sfilato davanti alle commissioni Siae ed Enpals esibendo a bella vista la documentazione che certifica la messa in regola. Il trambusto carnascialesco ha attirato l’attenzione di una comitiva turistica proveniente dal pianeta Aldebaran (costellazione sconosciuta) che autodispostasi a schiera ha donato all’invettiva pronunziata dal collettivo Artisti 7607 una parvenza da Carro di Tespi ellenico. La serata inaugurale ha serrato i battenti sollevando otri duplomaltati con annessa proiezione integrale del documentario “Giacinta Pezzana, una vita nella vita dando vita al girovita”. Omaggio audio-video alla gigantesca mattatrice ottocentesca. Il fisiologico sostegno metabolico è cominciato. Desta scalpore il sopraggiungere della deputata progressista senese Rosi Bindi, attuale cardine della Commissione Antimafia, prona a sguarciagolare una lista di testi impresentabili che va da Steven Berkoff a Karl Kraus transitando per il pugnace Arthur Schnitzler. Aveva sbagliato indirizzo…

Roma Fringe Festival per un fisiologico sostegno metabolico…

VALLI A PRENDERE al Roma FRINGE FESTIVAL 2015

In Cronache Roma Fringe Festival 2015, in scena on Maggio 27, 2015 at 7:40 PM

PRODUZIONI NOSTRANE – Ultras Teatro presenta

Locandina Valli a prendere FRINGE-page-001

Valli a prendere – spettacolo teatrale in salsa farmacologica
di e con Giovan Bartolo Botta

Roma Fringe Festival 2015

Sezione Comedy
Giardini di Castel Sant’Angelo
romafringefestival.net

PALCO C
domenica 28 giugno ore 20.30
lunedì 29 giugno ore 23.30
martedì 30 giugno ore 22.00

Giovan Bartolo Botta, finalista della prima edizione Stand Up Comedy del Roma Fringe Festival, porta sul palco riduzioni shakespeariane con ascendente tra l’assurdo e il comico, patemi poetici dell’amore non corrisposto nonché monologhi sul calcio. Il filo conduttore è l’attore di prosa come elemento umano che tenta di bastare a se stesso.

Giovan Bartolo Botta inscena un attore di prosa cuspidato accuratamente verso la prima decade, ancora legato al mondo analogico e al teatro del passato, che osserva la società dello smartphone tipica della democrazia liquida dove il teatro è l’ultima ruota del carro. Totale è l’annullamento dell’emotività. L’attore evoca sul palcoscenico questo disagio dicotomico fotografando situazioni, evocando paure, scaturendo risate. Narrando storie. Elargendo aneddoti. Leggendo poesie. Un Romeo troppo conservatore. Un Amleto punk. Un Otello razzista. I patemi dell’amore non corrisposto. Provini basati sul sopruso variegato al giudizio. Tutto. L’importante sarà fare ridere o sorridere. Ma omeopaticamente. Districarsi da qualunque obbligo, fosse anche l’ultimo.

Tutto il teatro FOTO - BN