Giovan Bartolo Botta

Cronache Fringeriane 13 Roma Fringe Festival 2105

In Cronache Roma Fringe Festival 2015 on giugno 24, 2015 at 4:56 PM

L’uomo dei finali… goodbye albero azzurro.

L’essere umano responsabile dei finali possiede suo malgrado il letale fiore nella bocca di pirandelliana scarabocchiatura. Gigantografiche sono le sue responsabilità. Molteplici gli oneri. Sottovalutati gli onori. Snobbati i meriti. Il suo quadrante astrale è convesso quanto un anulare raccordo edificato su di un anello Saturno. Oscilla tra l’elemento aerico e l’elemento terracino. Ruggiti savani danno fuoco all’ascendente. Un apparente equilibrio dimora in luna. L’essere umano responsabile dei finali desidera il mutamento degli incipit. Brama lo stravolgimento degli svolgimenti. Auspica lo sciabordio della complicata vicissitudine umana. Boriose lezioni di catechismo impartite in separato oratorio nonché emittenti televisive lungi dall’essere blasfeme deturparono i migliori anni dell’essere umano responsabile dei finali, disturbandone il sonno e arrestandone la crescita. Egli, come un uomo proveniente dal monte, disse basta. Basta con i vari Dodo Pulcino Besugo, Lupo Luciferino, Megera Verena, Strega Morocchina, Pegolo Pinguedine Gottoso, Folletti Colesterolici, Piccoli Principi Viziosi e Viziati, Gnomi Avvinazzati, Principesse Butterate e altri protagonisti della prosa ideata a uso e consumo di fantolini nutriti a dado e Milupa. L’essere umano responsabile dei finali gongola nel rivoluzionare copernicamente il teatro ragazzi. Per dare adito a questo suo sogno proveniente dall’età dell’innocenza, si iscrive al partitocrame politico sino ad arrivare ad occupare la poltrona di ministro. Dicastero del culturamificio con annessa delega alle arti sceniche. Da quel giorno, i bambini, ancora semplici spermatozoi sonnolenti, prigionieri di sacche scrotali paterne, sono obbligati dall’istituzione a sobillarsi turbamenti strindberghiani, assurdità beckettiane, solennità bardine, riformatorismi goldoniani, anti-aristotelismi brechtiani e via discorrendo. Elencando. Il modello formativo melevisionesco è bandito da palcoscenici e palinsesti. I gloriosi protagonisti delle filastrocche melevisioniche, dal tossicomane Tonio Cartonio al ludopata Gianni Muchacha transitando per i logorroici folletti Baugigi, sono condotti alla cautelare custodia, sommariamente processati da un giudici terzo (Cristina D’Avena), condannati da una giuria di non addetti ai lavori e fucilati in quanto elemento di imbarazzo per lo stato. La prosa ordinaria è altresì obbligatoria come la leva militare o il diploma di scuola media inferiore. Non sono previsti obiezioni della coscienza. O ti rechi a visionare quei sei personaggi in cerca di autore che poi si decurtano non riuscendo a trovare il fottuto autore oppure… pena capitale. Le poche bubbole fantoliniche rimaste in circolazione sono mutate nei truci allarmi dalle apposite commissioni. Due casi hanno fatto da spartiacque. L’uomo dei finali li espose ad una agitata seduta parlamentare ripresa dalla televisione nazionale. Cappuccetto rosso. Nella versione patriarcale della storia ella è una bambina incapace di distinguere sua nonna da un lupo famelico. Molto diseducativo. Cappuccetto rosso svestirà i panni del cappuccetto rimanendo rosso e basta. Conoscerà il lupo ad un ballo in maschera. I due si innamoreranno tanto da vicendevolarsi struggenti soliloqui d’amore affacciati ad un balcone. Purtroppo le rispettive famiglie non si possono tollerare. Appartenenti a differenti fedi calcistiche del cartello malavitoso veronense. Clivensi i Cappuccetti. Scaligeri i Licantropi. La coppia di spasimanti domanda coadiuvo ad un sacerdote progressista dalla lungimirante visione. Padre Francesco. Un gesuita almagrense emigrato sulla riva gardense per praticantare ortodossia ad un nugolo di pagani padani. Il loyolano vestito del proverbiale saio, unisce i colombi in matrimonio. Il parentado si oppone decretando così la dipartita dei figli. I quali si daranno la morte ferendosi i costati con un cestino da picnic. I tre porcellini. Nella versione maccartista della storia sono tre saputelli antipatici zimbellatori di simpatici cani selvatici. Lupo Ezechiele è un predatore maccabeico. Sogna i tre suini trasformati in succulente costine nonostante le sue longitudini natali vietino l’uso della carne rosacea. Molto diseducativo. Lupo Ezechiele sarà invece un amorevole padre che al termine di un’esistenza costellata dal sacrifizio desidera lasciare in dote i suoi averi a uno dei tre figli. Il più meritevole. Il patriarca convocherà a sé i tre geniti sottoponendoli ad interrogatorio. Chi tra loro mostrerà più amore verso le canizie del vegliardo? Porcellino Gonerillo utilizza soluccheri: “Lupo Ezechiele vi adoro, e non esiste sostantivo umano che valga ad esprimerlo. Vi amo più che la visione dei bulbi miei oculari. Vi obbedisco ponendo limite al mio libero arbitrio. Vi accarezzo ignorando ricchezze e titolarità nobiliari.”
Porcellino Regano branzina i piedi come e più del fratello: “Lupo Ezechiele. Lievito siccome fatto della medesima pasta del mio prezioso congiunto. Mi stimo del suo stesso pregio. Apro i miei sentimenti squarciandomi il petto ma in più mi professo nemico dell’altrui vizio defungendo in un vostro bacio.”
Sui loro atteggiamenti Lecchini contrasta la sobrietà di porcellino Regano: “Caro Lupo Ezechiele, io nulla vi dirò, e se dal nulla nulla si ricava, maleditemi come Re Lear maledisse la più giovane delle sue figlie, e tanti saluti al buffone di corte.”

L’uomo dei finali asfalta il teatro ragazzi. Non ci va per il sottile. Approva riforme a colpi di fiducia. Muta variopinte drammaturgie a seconda dell’umore. Sbatte sul lastrico vecchie glorie pupazzare. Cancella finanziamenti con un semplice tratto di lapis. Egli è l’uomo giusto seduto su una poltrona che scotta… durerà meno del solstizio invernale evitando di guardarsi le spalle dalle idi di marzo… il congiurato moderno somiglia ad un albero azzurro.

Lascia un commento