Giovan Bartolo Botta

Cronache Fringeriane 5 Roma Fringe Festival 2015

In Cronache Roma Fringe Festival 2015 on giugno 8, 2015 at 12:43 PM

Giardino. Il pitale è piombo pesante come piuma.

Bethel. Minuscolo borgo situato ai confini dello stato della Nuova Babilonia. Siamo nell’anno disgrazievole 1969. I centauri Hell’s Angels seminano il panico a bordo dei loro scassatissimi chopper capitanati dal caudillo Ralph Sonny Barger con l’intento di scortare indomite pietre rotolanti sul palco del festival canoro woodstockiano a solfeggiare motivetti musicali sulla difficoltà ad ottenere soddisfazione. Qualsiasi soddisfazione. Fosse pure l’ultima. Il periodo è di quelli più travagliati e trambusti del breve secolo novecentesco. Primavere praghensi e rubri manualetti cartacei di mandarino pugno sobillano la gioventù ad inscenare la rivolta occupando la ribalta. Saranno loro, i rampolli, a sovvertire il sistema per poi restaurarlo peggiorando ciò che non si pensava potesse essere peggiorato. Da provetti rivoltosi divoratori del verbo sartriano, i giubili giulebbati si troveranno presto a ricoprire ruoli tipici della futura borghesia capitalista. Solo che ancora non ne sono consapevoli. Terminate le dodicesime fatiche erculee della decennale guerra troiana, vincitori e vinti accompagnati dal parentado, decidono di riparare proprio a Bethel, dove da immemorando la comunità ellenica strimpella il curandero in attesa dell’agognato posto professionale gentilmente rilasciato dall’istituzione locale. Presso Bethel si era già rifugiato il reggente tebano Edipo dopo essere stato sorpreso dall’autorità giudiziaria in adulterio con la sifilitica sfinge. A Bethel erano fuggiti invasati d’amore l’adone Emone in compagnia della limitata Ismene, lasciando Antigone in balia della disperazione. Sempre a Bethel i fratelli coltelli Eteocle e Polinice avevano messo su una catena di ghiosterie seppellendo antichi rancori sotto la coltre dell’I.V.A. Partita. A Bethel le baccanti erano riuscite a farsi scritturare nelle migliori sale teatrali broadwayane. A Bethel Tiresia aveva riacquistato la vista grazie ad un prodigioso intervento chirurgico atto a debellare orzaioli e cataratte. A Bethel Penelope terminò la tessitura della tela brevettandola sotto l’egida trussardina. A Bethel Medea dalla acuta permalosità e Giasone l’infoiato ci riprovano, ma questa volta anziché sfornare figli naturali, si accontentano di legittimare un paio di criceti, tolti dalla mano assassina della sperimentazione scientifica. A Bethel il timorato Admeto permise alla sagace Alcesti di deflettere in barba all’eutanasia senza che il procace Eracle dovesse perorare cause perse di radicali partitocrazie. A Bethel Priamo detto la macchina ebbe altri cento amplessi, generando altri cento figli. Biondi dalla carnagione ebana però. Paride dagli occhi glaciali divenne fotomodello. Ettore dai modi gentili volontario alla Croce Rossa. Menelao aprì una catena di junk food. Elena la bella sì riciclò come stilista. Andromaca fu intima con la famiglia Hilton. L’ambizioso Agamemnone venne sconfitto dal videogenico John Fitzgerald Kennedy durante le combattutissime presidenziali del 1960. Ecuba trovò una scrittura all’interno della circensità fratellina. Cassandra aprì un servizio sanitario di quadrupedi guida per individui ciecati oltre a elargire tarocchi e procurare fattura. L’oracolo di Apollo a Delphi, profeta delle incresciose sciagure, affiancò Henry Kissinger nella veste di attendibile e fidato consigliere statale. Achille piè puzzolente e il fraterno amico Patroclo denominato l’emotivo spalancarono una palestra. Cardiofitness e dieta nutrizionista. Le ex ancelle Briseide e Criseide organizzavano la sezione pilates dando alle stampe un ottimo esempio di nuclearità familiare allargata. Si riciclarono tutti insomma. Compreso il cane Argo. Tutti, dagli Achei agli Atridi, transitando per le Eumenidi. Tutte le famiglie della sacra corono epicistica ellenica riuscirono ad eludere l’iniziale diffidenza degli autoctoni anglo-americani, ottenendo posizioni elevate nonché sormontature sociali. Il mito è riscritto. Da eroi senza macchia e senza terra a selfmademen tanto cari all’apparato finanziario plutoilluminato che tiene serrati i cardini del borsino affaristico. Tutti tranne lui. Ippolito. Un discolo disinteressato a partigiani terrorismi e serrati pugni. Indifferente verso la carriera. Per nulla propenso a farsi un nome. Un cognome. Un soprannome. Un nome d’arte. Derisorio del riscatto familiare. Esige consumare le sue noiose giornate tra un onanismo e bastimenti di cioccolata alla nocciola. Le ascelle pezzano, l’alito sa di bagordo. L’alluce è valgo. Flaccido il muscolo. Intensivo il poltrire sull’amaca. Sporca di pesto genovese la canotta. Ippolito è la metastasi tesea registrata all’anagrafe presso l’Isola di Staten Island. Un disastro diplomatico. Alla devota Fedra, sua parente prossima, non sarà sufficiente recitare nel capolavoro edwardiano Colazione da Tiffany per resuscitarne la posizione. Insieme alla postazione. Questa è la vicenda che la psichedelica compagine teatrale ossimorica civitavecchina I nani inani presenta sulle tavole del palcoscenico nel tunnel denominato giardino. Un acido che titilla capitoline cantinate e masochismo marinettista, sciabordìo mattatorale arcaico e saltimbancheria da periodo oscuro, ombra mongolica e planimetria asfaltatrice. O forse nulla di tutto questo. L’inventore del sintetismo tossicologico, il chimico Albert Hofmann ancora respira, dirige marionette obbligandole a suggere elidi prepuziali per poi ingollare voluttuosità al sapore di melassa. E se non fosse che dimorano dietro le sbarre della confortevole colonia penale, oseresti dire che sono proprio l’ex patron fantasista finanziario Tanzi e il ghiandaio Ghirardi, le marionette calienti pronte a scambiarsi quel reciproco favore orale finale protraibile nel tempo, assimilabile nello spazio…

Giardino… laddove financo i Pink Floyd ci sarebbero andati cauti…

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